I prossimi appuntamenti con la Leggenda degli eterni secondi

I prossimi appuntamenti con la Leggenda degli eterni secondi: domenica 20 settembre presso la collezione privata Biciclette Antiche e Velocipedi di Palazzo Vertua-Robbiani a Soresina

domenica 26 luglio 2015

Raymond Poulidor: la storia di tutte le storie legate al Tour de France.

Il mitico duello sul Puy de Dome al Tour de France del 1964
Cuore, grinta e umiltà. Tanta umiltà. Nel grande libro del ciclismo Raymond Poulidor è conosciuto universalmente come “l'eterno secondo” per antonomasia. Nella sua carriera lunga la bellezza di diciotto stagioni, dal 1960 al 1977, ha incrociato le ruote con campioni del calibro di Merckx e Gimondi, Ocaña e Bahamontes, anche se con un avversario in particolare ha dato vita ad una delle rivalità più avvincenti della storia: Jacques Anquetil.
Raymond e Jacques. Jacques e Raymond. Mai due uomini furono così diametralmente opposti da divenire imprescindibili. Jacques aveva ereditato l'eleganza degli antichi signori normanni; Raymond la sobrietà dei contadini del sud. Jacques nella vita si permise tutto e di più, anche d'avere una bambina dalla sua figliastra e un bambino dalla moglie del figliastro; Raymond ha sposato la postina del suo paese, il borgo medievale di Saint Léonard de Noblat, passaggio fondamentale nel cammino per Santiago di Compostela. Jacques a fine carriera si ritirò in un castello sfarzoso, la 'Villa degli Elfi', appartenuta in passato al poeta Guy de Maupassant; Raymond come una formichina ha messo via soldi per tutta la vita tanto che la Mercedes, marchio di cui è testimonial, gli ha regalato una macchina nuova quando la sua ha toccato i seicentomila chilometri, altrimenti prima o poi sarebbe rimasto ai piedi. Jacques era diffidente e schivo nei riguardi di tutti; Raymond aveva sempre la battuta pronta. Jacques possedeva i lineamenti affilati e gli occhi di ghiaccio; Raymond la faccia quadrata e i tratti mediterranei. Jacques, perfettamente immobile e aerodinamico, sembrava guidare la bici lungo un binario; Raymond, da scalatore puro, la scuoteva come una ballerina di boogie. Jacques che si prendeva tutto, Record dell'ora compreso; Raymond che dovette accontentarsi delle briciole, e a volte nemmeno di quelle.
Non impiegarono molto tempo i tifosi transalpini a scegliere da che parte schierarsi: in uno sport come il ciclismo che vive di duelli e antitesi, Poulidor rappresentava l'eroe umile e un po' sfortunato in cui i francesi, da sempre allergici a re e noblesse, si riconoscevano perfettamente. Pur non vincendo quasi nulla, nel suo Paese è diventato così popolare da essere inserito addirittura nel gergo lessicale: in Francia infatti è ormai consuetudine dire 'il Poulidor della politica', 'il Poulidor dell'economia' per raccontare situazioni in cui il secondo appare più simpatico del primo. Émile Besson, giornalista che curava la pagina del ciclismo su Le Midi Libre, aveva coniato per lui anche un nomignolo affettivo, 'Poupou', abbreviazione del gioco di parole 'poupoularitée', che calzava a pennello col suo personaggio. Nonostante abbia appeso la bici al chiodo da qualche decennio, è ancora oggi il più ricercato dai tifosi per un autografo o una stretta di mano su tutti i traguardi del Tour de France e lui, arzillo settantenne dal folto ciuffo bianco e gli inconfondibili occhiali da vista con le lenti scure, sembra continuare a divertirsi in quel ruolo di superstar che lo strano destino gli ha riservato.
La favola di Raymond Poulidor è partita da molto lontano, in un microscopico villaggio dal nome impronunciabile disperso tra le verdi campagne del Limousine, ai piedi del Massiccio Centrale. Tanto lavoro e poca istruzione, era quella la dura realtà nella Francia a cavallo tra gli 'Années folles' e la Seconda Guerra Mondiale. Arrivò tardi al ciclismo professionistico, nel 1960, quando aveva già compiuto ventiquattro anni, perché nel frattempo era stato costretto a prestare servizio militare nel Nord Africa per ventotto interminabili mesi. Era l'epoca in cui le colonie francesi del Maghreb rivendicavano l'indipendenza dalla madrepatria e 'les enfants de la Patrie', tutti o quasi di umile estrazione, furono spediti armi in mano per sostenere un braccio di ferro che la Francia stava lentamente perdendo. Dall'Africa quindi se ne tornò a casa coi fantasmi della sconfitta che l'accompagnarono per tutta la sua vita sportiva.
Fu il grande Antonin Magne a credere in lui offrendogli un contratto per la Mercier, la squadra per la quale corse l'intera carriera, conclusasi a quarantun anni. Il suo esordio fu decisamente buono, coronato con il quinto posto ottenuto ai mondiali di Karl-Marx-Stadt, roccaforte socialista della Germania Democratica, con l'epilogo sul circuito del Sachsenring. Il primo colpo invece lo mise a segno nel '61, quando anticipò a sorpresa tutti i favoriti sul traguardo della 'Sanremo' sferrando l'attacco sul Poggio, inserito per la prima volta da Vincenzo Torriani proprio quell'anno per rendere ancor più avvincente ed indeciso il finale della classica italiana. E pensare che Poupou aveva già perso le speranze di vincere quella corsa. Sul Capo Berta forò, dovendo attendere più del previsto l'arrivo dell'ammiraglia per il cambio della ruota; così si era già seduto all'interno dell'abitacolo convinto di ritirarsi, quando Magne l'esortò a ritornare sulla bicicletta. Sfruttando un rallentamento del gruppo di testa, Poulidor recuperò incredibilmente il distacco e sul Poggio, ultima fatica di giornata, lanciò un attacco sfrontato. Sembrava aver acquisito un distacco tale da assicurarsi la vittoria, ma la sua avventurosa 'Sanremo' quel giorno aveva in serbo per lui un ultimo sussulto in vista dell'arrivo. Durante le ultime curve, un carabiniere errò la segnalazione, indirizzandolo in un'altra via e costringendolo a girare la bici e ricominciare da capo la propria progressione, col gruppo che si faceva sempre più minaccioso alle sue spalle. Aveva sentito il ronzio delle loro ruote che fendevano l'aria dietro l'ultima curva, ma senza perdersi d'animo riuscì a non farsi inghiottire dalla voragine conservando tre miseri secondi. Fu, assieme alla Vuelta del '64, l'unica gioia di una carriera fatta d'inseguimenti e sogni infranti.
Nel 1962 il giovane contadino del Limousine si presentò a Nancy per la partenza del suo primo Tour de France, ignaro che su quelle strade stesse per sfidare nient'altro che l'allora re di Francia e del ciclismo mondiale, Jacques Anquetil. Dopo un sogno lungo più di trent'anni, quell'anno il Tour si era bruscamente risvegliato senza vedere alla partenza le mitiche squadre nazionali. Jacques Goddet, storico patron della corsa, aveva infatti ceduto alle pressioni degli sponsor riaprendo la competizione alle squadre di club. Quindici team raccolsero la sfida: sette francesi, sei italiani e due belgi; ma rispetto al passato, erano quasi tutte aziende impegnate in settori che non avevano nulla a che fare col mondo del ciclismo. Tra le più quotate c'era la francese Saint-Raphaël, che schierava al via Anquetil e i futuri campioni del mondo Altig e Stablinsky, e l'italiana Ignis con Nencini, Baldini e Pambianco, vecchi vincitori del Giro. La Mercier di Antonin Magne invece riponeva tutte le speranze sul giovane Poulidor, il quale accese la miccia di quell'edizione durante la diciannovesima tappa, da Briançon ad Aix-les-Bains.
In maglia gialla c'era il belga Jo Plankaert, braccato in classifica da Anquetil. Per il francese si trattava di una frazione da disputare sulla difensiva, dato che sulla carta soffriva più del belga i ritmi troppo elevati in salita. Voleva evitare a tutti i costi la bagarre per risparmiare più energie possibili in vista della cronometro del giorno successivo, dove aveva già pianificato il ribaltone secondo un canovaccio che si ripeteva ormai da qualche stagione. Le Alpi francesi però, con la loro solennità e le numerose trappole nascoste tra saliscendi di polvere e sterrato, erano un richiamo troppo forte per i corsari dell'impresa e così il giovane Poulidor, incurante delle dinamiche che governavano la corsa, scatenò la battaglia campale rompendo l'alleanza francese in favore del nemico. Il primo ad andare alla deriva fu proprio Anquetil, seguito ben presto dal capoclassifica Plankaert, mentre più avanti cedettero il passo anche gli specialisti della montagna come Bahamontes, Gaul e Massignan. Poupou arrivò tutto solo con 2'30" di vantaggio su Anglade e Bahamontes, risalendo al terzo posto in classifica mentre Anquetil, giunto al traguardo con più di tre minuti di ritardo, si limitò ad uno sguardo torvo. Jacques era uno che non dimenticava e i suoi silenzi erano più pericolosi di tante parole, tant'è che l'indomani avrebbe distrutto la concorrenza nella cronometro di Lione, andando a vincere il terzo dei suoi cinque Tour.
Quel giorno Magne, mentre seguiva l'esercizio del suo pupillo dall'ammiraglia, aveva visto comparire in fondo ad un falsopiano all'uscita di un piccolo villaggio un'ombra nera che si faceva sempre più minacciosa alle loro spalle. Era Anquetil che, una volta apparso dal polverone alzato dal seguito di macchine e moto degno di un re, superò impietosamente il corridore della Mercier col chiaro intento di volerlo umiliare dopo l'affronto della tappa precedente.
«Spostati Raymond! - esclamò il direttore sportivo. - Sta passando una caravella». Raymond, nonostante in quell'occasione perse cinque minuti dal campione normanno, concluse comunque al terzo posto il Tour a dieci primi dalla maglia gialla; ne aveva lasciati per strada otto solo nella prima tappa, sofferente per un dito rotto della mano.
Dietro a quelle cifre apparentemente insignificanti, stava prendendo forma la rivalità che avrebbe diviso la Francia negli anni successivi. Non solo. Proprio in quella circostanza, il diabolico Anquetil aveva giurato a sé stesso che finché ci fosse stato lui in gruppo, il giovane rivale non avrebbe messo le mani sul Tour de France, costi quel che costi.
Nell'edizione del 1963, oltre alle consuete cronometro, Anquetil impartì una dura lezione a Poupou anche sul suo terreno preferito, la salita. Raymond aveva chiuso quel Tour con un anonimo ottavo posto, salvo tornare protagonista nella corsa che più amava nel 1964. Nel mese d'aprile aveva vinto la Vuelta, mentre Anquetil a maggio si era imposto al Giro; sulle strade francesi dunque, si sarebbe consumato il duello che metteva in palio la supremazia mondiale.
Fino al termine della penultima settimana di corsa, le trame del Tour portarono alla ribalta la favola del carneade Georges Groussard, che aveva sfruttato il vantaggio acquisito durante una fuga nelle prime tappe per conquistare la maglia gialla. Nel frattempo la classifica alle sue spalle si era decisamente scossa, coi due galletti francesi che si erano già beccati e contesi preziosi secondi d'abbuono finché, come da copione, nella cronometro di Bayonne che apriva l'ultima e decisiva settimana, Groussard si fece da parte. Lì Anquetil precedette di 37" Poulidor - che aveva perso tempo prezioso a causa di una foratura - riuscendo a conquistare anche la maglia gialla con 56" di vantaggio sul rivale.
Stava entrando nel vivo quello che per molti sarebbe stato il Tour più bello della storia. Dopo due tappe transitorie, venerdì 12 luglio era in programma l'arrivo sul Puy de Dôme, un vulcano spento da millenni tra le foreste dell'Alvernia, nel cuore della Francia. Se Anquetil fosse uscito in maglia gialla al termine della giornata, avrebbe vinto verosimilmente il Tour, dato che dalla sua aveva la cronometro finale di Parigi. Il gruppo approcciò ancora numeroso l'ultima salita, ma lungo la spirale che attorcigliava con sempre più veemenza il cono vulcanico fino al cratere, la selezione fu subito importante. Gli spagnoli Jimenez e Bahamontes lasciarono ben presto la compagnia, inscenando la loro danza sui pedali al ritmo di fandango. Si trattò di un grave errore per Poulidor che, concentratosi soltanto su Anquetil, lasciò andar via gli iberici perdendo la possibilità d'arraffare il prezioso minuto d'abbuono in palio per il vincitore.
Ma i due francesi, pur staccati, diedero vita ad uno dei duelli più memorabili della storia del ciclismo. Raymond sapeva che doveva staccare il suo avversario, mentre Jacques era consapevole che non doveva mollare la sua ruota: soltanto uno dei due sarebbe riemerso vincitore da quel purgatorio dantesco raggiungendo le porte del paradiso. Dopo una prima fase di studio, aumentarono gradualmente la loro velocità, fino a dar vita negli ultimi chilometri ad un'interminabile volata in salita. Nessuno era intenzionato a cedere, figuriamoci a mettersi alla ruota dell'avversario; sarebbe stato un disonore. Così scalarono tutto il Puy de Dôme spalla a spalla, le loro ruote appaiate, cercando con la coda dell'occhio un barlume di crisi nelle gambe dell'avversario. Tanto lontani nella rivalità e tanto vicini nella fatica da sbandare vistosamente e urtarsi più volte per restare in equilibrio sui loro mezzi. Anquetil aveva scelto il lato interno, quello più vicino alla parete ribollente del calore dei gas che scorrevano nel cuore della montagna; Poulidor il lato esterno, quello più vicino al precipizio. Parevano due serpi che s'attorcigliavano l'un l'altra in una danza mortale, due pugili così suonati da sostenersi vicendevolmente mandando cazzotti a vuoto. Negli ultimi metri Raymond riuscì a distanziare l'avversario, che al traguardo aveva smarrito l'aspetto signorile del suo volto perdendo i sensi per qualche istante. Quando li riacquistò, udì da qualche parte attorno a sé le parole del suo direttore sportivo Gémignani che lo rincuorava annunciandogli d'aver conservato la maglia gialla per 14". Stravolto ma lucido, in quel momento capì che aveva vinto il Tour, sigillato due giorni dopo nella cronometro di Parigi.
Poulidor, in un primo momento, gli mise paura anche nella prova contro il tempo, salvo perdere inesorabilmente terreno nella seconda parte dell'esercizio. Maître Jacques vinse il Tour con 55" di vantaggio, facendo registrare il nuovo scarto minimo tra i primi due classificati nella storia della Grande Boucle.
In realtà Poupou, che aveva ormai dalla sua il tifo di tutti i francesi, era tornato a casa con un grande rammarico. Durante la nona tappa con arrivo a Monaco, aveva preso per primo l'ingresso finale al velodromo, ma non sapendo che si dovesse compiere un giro completo della pista si fermò una volta superata la linea del traguardo credendo d'aver vinto. Alle sue spalle partì come una scheggia Anquetil, che andò ad imporsi nello sprint a ranghi ristretti guadagnando un minuto d'abbuono che alla fine si rivelò decisivo.
In base alle ottime impressioni destate nell'edizione precedente, quello del '65 sarebbe stato per molti alla vigilia il Tour di Poulidor. Anquetil, dopo cinque trionfi, quattro dei quali consecutivi, aveva deciso di non essere della partita per concentrarsi sull'unico grande obiettivo che ancora gli mancava, il mondiale, lasciando il via libera al rivale. Quell'anno però comparve sulla scena un certo Felice Gimondi, convocato in extremis dalla Salvarani per fare da spalla al capitano Adorni, fresco vincitore del Giro. Il bergamasco, sfruttando i problemi di tendinite del suo capitano, prese a sorpresa la maglia gialla al termine della quarta tappa a Rouen, la città di Anquetil, mantenendola per quasi tutte le restanti frazioni. Poupou provò a mettergli i bastoni tra le ruote vincendo la prima delle tre cronometro in programma e la tappa con arrivo sul Mont Ventoux, ma l'italiano strinse i denti, resistette ai suoi attacchi e riuscì addirittura a vincere le due cronometro successive, di cui l'ultima, da Versailles al Parco dei Principi, che divenne l'emblema del suo trionfo. Si narra che quella sera, nel suo castello, Anquetil avesse brindato con lo champagne alla nuova sconfitta del rivale.
Nel 1966 Poulidor fu ancora protagonista, ma il trionfo fuggì ancora perché il suo antico avversario, fedele alla promessa che si era fatto qualche anno prima, fece nuovamente di tutto per impedirgli di vincere. Durante la diciassettesima tappa con arrivo a Torino, Anquetil mandò all'attacco il compagno Lucien Aimar lungo la discesa della Colletta. Lo scalatore della Provenza, ben posizionato in classifica dopo un'altra fuga portata felicemente a termine sui Pirenei una settimana prima, conquistò due preziosi minuti su tutti i favoriti grazie alla rete che il vecchio capitano aveva tessuto alle sue spalle; in pratica tutti i favoriti erano rimasti in marcatura su Anquetil, che a sua volta aveva appositamente rallentato l'andatura per creare il maggior divario possibile tra gli attaccanti e gli inseguitori. L'azione ebbe il merito di far fuori tra gli altri Poulidor, ormai troppo staccato in classifica, mentre Aimar, che quella sera indossò la maglia gialla, vinse praticamente lì il suo Tour. Fu l'ultimo scherzo che il vecchio re giocò al contadino dato che, al termine della diciannovesima tappa, quando i giochi per la classifica generale erano ormai fatti, si ritirò dando per sempre il suo commiato dal Tour de France.
Raymond, giunto sul terzo gradino del podio, quell'anno fu protagonista di un altro fatto singolare. A Bordeaux, vigilia della nona tappa, si era sparsa la voce che nel giro di qualche minuto sarebbe stato effettuato a sorpresa il primo test antidoping della storia del Tour. Tutti i ciclisti abbandonarono in fretta e furia gli alberghi per sviare i controlli, mentre il primo a sottoporsi fu proprio Poulidor. Stava passeggiando in abiti borghesi lungo i corridoi della struttura che ospitava la sua squadra, quando due uomini l'avvicinarono mostrando delle carte.
«Sei un corridore del Tour? - gli domandarono trovando la reazione confusa di Raymond. - Allora vieni con noi».
Fu portato in una stanza e obbligato a fare pipì in una bottiglia che poi venne chiusa senza una tenuta particolare. Gli chiesero nome e data di nascita, senza verificare la sua identità; avrebbe potuto essere chiunque, così come avrebbero potuto fare qualsiasi cosa con quella bottiglia. Altri corridori nel frattempo furono fermati, tra cui Van Looy: alcuni vennero obbligati a svolgere all'esame, mentre qualcuno si rifiutò. L'indomani i ciclisti inscenarono una veemente protesta trascinando la propria bici a mano durante i primi chilometri della tappa, finché la mediazione di Goddet riuscì a farli desistere.
Nel biennio '67-'68 il Tour tornò per una breve parentesi a squadre nazionali, ma il progetto si rivelò fallimentare. Gli interessi economici e sponsoristici fecero sì che diversi atleti obbedivano ancora alle gerarchie dei propri club, aiutando vecchi compagni appartenenti a nazionali rivali. Non fu il caso di Poulidor che nel '67, dopo essere uscito di classifica a causa di una caduta sul Ballon d'Alsace, sostenne magistralmente Roger Pingeon e l'équipe francese per conquistare la corsa. L'anno successivo un altro incidente causato da una moto al seguito della corsa che gli tagliò la strada l'obbligò al ritiro, facendogli perdere una grande occasione; l'olandese Janssen infatti, incoronato al Velodromo di Vincennes che da quell'anno aveva preso il posto del Parco dei Principi come grande epilogo del Tour, sarebbe stato sicuramente un avversario alla sua portata.
Il tempo delle opportunità per Poulidor era scaduto, dato che nel 1969 comparve sulla scena del Tour un nuovo fenomeno, Eddy Merckx, determinato quell'anno a recuperare immediatamente la propria immagine dopo l'esclusione un mese prima dal Giro d'Italia per una positività ad un anfetaminico. Il belga dominò la corsa, rifilando qualcosa come diciotto minuti a Pingeon e ventidue a Poulidor, acquisendo proprio in quella circostanza il soprannome di "Cannibale" dal giornalista Christian Raymond.
Poupou sarebbe finito ancora terzo nel 1972 alle spalle di Merckx e Gimondi, prima d'assistere dal secondo gradino del podio alla cinquina del "Cannibale" nel 1974, mentre nel 1976 avrebbe salutato il Tour con un terzo posto, quando anche la stella di Merckx si era ormai eclissata.
I suoi numeri alla Grande Boucle sono impressionanti: nelle dodici edizioni concluse, ha terminato otto volte sul podio - tre volte secondo e cinque volte terzo - giungendo per undici occasioni nella top ten. Non è andata meglio ai mondiali, dove è salito per quattro volte sul podio senza mai primeggiare in nessuna delle diciotto edizioni a cui ha preso ininterrottamente parte dal 1960 al 1977. Curiosamente non ha mai disputato il Giro d'Italia, in quanto la Mercier, azienda francese produttrice di biciclette, non aveva interessi economici o pubblicitari nel Bel Paese.
Ma un dato incredibile contraddistingue la carriera di questo soldatino del pedale. Poulidor non ha mai indossato, nemmeno per una semitappa, la maglia gialla, pur sfiorandola in tantissime circostanze.
Sceso dalla bici alla fine della stagione 1977, divenne ospite fisso assieme ai vari Géminiani, Altig, Stablinski e Ocaña delle feste organizzate nella 'Villa degli Elfi', la reggia di Anquetil. A quel tempo l'antico fuoco della rivalità si era ormai spento e in quelle occasioni Raymond, tra grandi bevute e partite di poker che si protraevano per tutta la notte, ebbe la sua rivincita su Jacques.
«Non so perché, ma capivo ogni volta che Jacques bleffava» racconta ancora oggi quando, sui traguardi del Tour, finge di riconoscere una faccia riemersa da una strada, da una corsa, da chissà dove.
Il suo amico Jacques ormai l'ha abbandonato da tempo. Quando nel novembre del 1987 andò a trovarlo sul letto di morte, sfiancato da un inguaribile tumore allo stomaco, non seppe proprio cosa dire. Ci pensò Jacques, pieno di flebo ma lucido:
«Vedi?- sospirò con un ghigno dipinto sul volto. -Anche questa volta sei arrivato secondo».


Raymond uscì alla svelta dalla stanza per non far vedere che stesse piangendo. Una parte di lui se ne stava andando per sempre.    

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